Se la taranta non
morde e non è un ragno
apparsa
su "Nuovo Quotidiano di Puglia" del 01/09/2015
Solo
oggi si scopre la verità sul morso del ragno, o meglio si scopre ciò che non è il
tarantismo, non legato al morso della tarantola che, a sua volta, non è un ragno.
Insomma: è
solo credulità
popolare, tradizione.
Lo
scopriamo perché
uno spot di due minuti ha fatto indignare Eugenio Imbriani, antropologo e
docente di Unisalento, un buono dal carattere mansueto, a tal punto da fargli
rassegnare le dimissioni da membro del consiglio scientifico della Fondazione
Notte della Taranta.
Ma
più
osserviamo il video e più ci pare che questo sia stato utilizzato come pretesto per
rendere pubblico uno stato, uso le parole del presidente del comitato
scientifico Sandro Cappelletto, di “disagio che il Consiglio vive da tempo”, ed ecco
allora che la sensibilità del professore “è stata ferita dalla banalità di una
ricostruzione inaccettabile” - sempre parole del Presidente.
Ora,
come tutti sanno, Sandro Cappelletto è un giornalista di chiara fama, pertanto se parla di “banalità” nella
ricostruzione non si può che prenderne atto, dato che egli, evidentemente, utilizza
come metro di giudizio i suoi originalissimi saggi sul tarantismo che, ce ne
dispiace, non abbiamo mai
incrociato in venti anni di ricerca (e divulgazione) sugli usi, i costumi, le
superstizioni di Terra d'Otranto, quindi tanto di cappello.
Siamo
un po' in disaccordo quando qualifica quella ricostruzione “inaccettabile”, e basta
guardare il filmato, che non aveva alcuna pretesa scientifica, per rendersene
conto.
Chiediamo
quindi, tanto all'accademico risentito quanto al divulgatore critico, se i tre
anziani sbagliano quando affermano che la “taranta non è una danza,
non è
una musica, ma è
un ragno”.
Crediamo di no; è
semplicemente la “banalità”
tradizionale che li spinge a ribadire ciò che sempre hanno vissuto - sembra essere tornati indietro,
ai tempi degli uomini con l’anello al naso da una parte e i colti stranieri di
provincia dall'altra - ma lo insegna anche la storia, ed in particolare
Goffredo di Malaterra (operante alla fine dell'XI secolo) in quella che è considerata
la prima testimonianza scritta nella quale si descrive il ragno: “Taranta
quidem vermis est aranea speciem habens” (“La tarantola è un verme che ha l'aspetto di un ragno”). In questo
c'è
stata una mancanza del regista, ci scusiamo noi per lui, che di sicuro la
prossima volta, per dare maggiore autorevolezza allo spot, chiamerà qualcuno
che parli latino, magari un docente universitario, non si sa mai che riesca
qualcosa di accettabile agli occhi degli specialisti, ma solo ai loro.
Dopo
gli eretici anziani c'è il nostro intervento che recita: “Secondo la
tradizione, chi veniva morso dal ragno, per curarsi, doveva danzare di modo che
sudando potesse espellere il veleno dal corpo”.
Non
si può
mettere in dubbio che fosse una credenza rinomata – leggasi
tradizione, uso, costume… - che si dovesse ballare (o comunque provocare sudore) per
espellere il veleno dal corpo: lo scrive sempre Malaterra (clibanica, o cura del forno caldo) e lo fa intendere anche Alberto
di Aquisgrana: “l'uomo
punto (per rimediare al morso del serpente-Tarenta)
doveva giacersi senza indugio con una donna, e viceversa”, poi si
potrebbe continuare citando il Mattiolo, e tanti altri ancora (o forse si tifa
per la cura esattamente opposta, quella proposta dal Mercuriale, il quale
consigliava di legare il malcapitato con funi?) ma si rischia di non uscirne più e di
annoiare il lettore.
Se
poi si vuol parlare di altri tipi di avvelenamento e di altre terapie ci piace
rimandare agli articoli apparsi su questo Quotidiano la scorsa estate.
Insomma,
si è
preferito dare un taglio storico/tradizionale piuttosto che antropologico,
senza avere la presunzione che un approccio sia superiore all’altro,
soprattutto in una clip di due minuti, nella quale non c'è il tempo
per filosofeggiare sul tutto e sul niente, spingendosi ad analizzare i legami
coi riti delle antiche civiltà del Mediterraneo, facendo poi un volo nel Baltico o altro
ancora…
quello al massimo si scrive negli articoli scientifici, che leggeranno in
pochissimi ma faranno far carriera, o nei libri che si trovano nelle librerie
delle persone comuni (“banali”?), che non fanno far carriera accademica ma danno altri
tipi di soddisfazione, non ultima quella di poter parlare/scrivere alla pari.
Infine
l'intervento di Antonio Durante, direttore del Museo di Storia Naturale del
Salento con sede a Calimera, per il quale il tarantismo non è provocato
dalla tarantola ma dalla vedova nera, è ovvio che parli da zoologo, non da etnomusicologo o
antropologo.
Quindi,
nel videoclip nulla per cui ci si debba far “cadere le braccia”, tanto da
rassegnare le dimissioni, ed infatti Eugenio Imbriani non si avvale della fonte
"banale e inaccettabile" (ma originale, ossia il sito della Notte
della Taranta) ma ritiene opportuno richiamarsi superficialmente, e questo mi pare quantomeno inusuale per
chi ha fatto della ricerca il suo vivere quotidiano, un link esterno nel quale
male si interpretava il significato del video.
Ci
dispiace, dunque, che sia bastato così poco perché fosse presa una scelta probabilmente irrevocabile, e che
un buono dal carattere mansueto abbia contestato ciò che non
poteva essere contestabile, dopo che in 18 anni di Notte della Taranta (da
tanto esiste il festival) non abbia mosso neppure una critica velata ad un
sistema che piace a pochi e che non ha prodotto quanto si sperava, nonostante
gli si fosse conferita autorevolezza accademica. Mentre per due minuti di
video, non proprio un colossal, attacca tutti. Per non attaccare nessuno.
Per
concludere chiediamo all'accademico risentito ed al divulgatore critico: “se il
tarantismo non è
legato alla taranta, e se questa non è un ragno, in cosa abbiamo creduto fino ad oggi (oppure, in
cosa abbiamo investito i nostri soldi)?”
federico
capone