lunedì 11 luglio 2011

La pizzica è morta (lettera apparsa su Nuovo Quotidiano di Puglia nel giugno del 2003)


Lettera apparsa su Nuovo Quotidiano di Puglia del 1 giugno 2003

La pizzica in disuso? forse è morta
ma nessuno ha il coraggio di dirlo

La pizzica in disuso? non è vero, la pizzica è morta! Prendo spunto dalla polemica sulla infelice frase di Maurizio Costanzo a proposito della entrata in disuso delle musiche popolari per esprimere alcune considerazioni sulla musica nel Salento che non è solo la pizzica e la tarantella; di musiche ne esistono almeno altre due: la musica folk di fine anni Settanta [ma che nasce agli inizi del Novecento] (quella di Bruno Petrachi, di Gino Ingrosso, di Ginone, di Eupremio Fersino e tanti altri ancora) e la musica che adotta stili musicali prettamente afroamericani (il reggae hip hop dell’inizio anni Novanta). Non solo, se qualcuno ha buona memoria, potrebbe ricordare gli esperimenti di Georges Lapassade e Piero Fumarola, i quali crearono un genere battezzato tarantamuffin (divenuto poi technopizzica) che, come si può chiaramente intendere tendeva a contaminare la pizzica con il raggamuffin, così come sono da menzionare i laboratori di blues in dialetto […].
Mentre fino a qualche anno addietro si poteva affermare che la pizzica e la tarantella erano musica della campagna, per le donne che andavano a raccogliere il tabacco e venivano suonate e cantate in un contesto sociale differente da quello contemporaneo, difficile da comprendere ma che si poteva analizzare, oggi come oggi la legge è questa: “non capire, contamina la musica e balla” (dpmc).
L’”evoluzione” della musica contadina i cui elementi erano trasmessi dalla campagna salentina ai paesi ha portato ad una perdita delle radici, checché se ne dica tentando, spero in buona fede, di difendere una musica non in disuso, come ha affermato Maurizio Costanzo, ma definitivamente morta. (Federico Capone)

La risposta:
Finalmente una voce fuori dal coro. Finalmente qualcuno che dice basta alla retorica della pizzica e della taranta, di una tradizione offesa da un abuso tutto commerciale, lontano dalla serietà degli studi e dalla consapevolezza dell’appartenenza.
Quel ballo fa parte della nostra storia e nessuno lo mette in discussione; è stato giustamente riscoperto e valorizzato dopo alcuni anni di spocchioso oblìo, ha riempito piazze e locali, è entrato nel business delle scuole di ballo, lo hanno imparato i nostri figli.È diventato persino motivo per creare cattedre universitarie.Insomma, abbiamo dato.Il debito -se debito avevamo- è stato onorato.Adesso andiamo avanti e, se vogliamo ripescare nelle tradizioni salentine, guardiamo anche in altre direzioni.
E, soprattutto, non ci impermalosiamo se qualcuno non apprezza il genere. Il quale, dopo l’ubriacatura degli ultimi tempi, ha bisogno di un volume più basso, in modo che consenta di fare udire la propria voce solo a chi ha ancora qualcosa di nuovo -e di interessante- da dire sull’argomento.(Rosanna Metrangolo)

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